«Cos’è il genio? Fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione».
La riflessione del Perozzi in Amici miei di Mario Monicelli può andare benissimo per definire il lavoro di Giorgio Forattini.
Romano, nato nel 1931 e scomparso il 4 novembre 2025, Forattini ha accompagnato la vita italiana dagli anni Settanta ai primi decenni del XXI secolo con le sue vignette. Craxi vestito da Mussolini, Spadolini nudo, Fanfani rappresentato come un tappo, Andreotti nero, sinuoso e gobbuto, Renzi con il naso da Pinocchio, ma anche la Sicilia rappresentata come la testa di un coccodrillo, fanno parte dell’immaginario collettivo del nostro Paese. Qualcuna di quelle rappresentazioni è diventata anche l’icona di una stagione politica.
Forattini ha collaborato con «Paese sera», «Repubblica», «La Stampa», «l’Espresso», «Panorama», «il Giornale», « Quotidiano Nazionale».
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Hanno calcolato che abbia all’attivo oltre 10mila vignette pubblicate in più di 50 libri che hanno venduto complessivamente oltre 3 milioni di copie. Poi ci sono le vignette mai pubblicate che, dice chi le ha viste, sono ancora più caustiche, salaci e irriverenti.
Forattini viene dalla buona borghesia, il fratello ha intrapreso la carriera diplomatica. Spirito indipendente e autonomo, lasciati gli studi di Architettura iniziò a lavorare. Prima in un’azienda di idrocarburi, poi come venditore di elettrodomestici e di dischi. Ma era (ed è stato) un animo inquieto. Mentre vendeva dischi debuttò come grafico disegnando etichette e copertine dei 45 giri e fece anche il copy pubblicitario. Amava il teatro e in quell’ambiente incontrò Sofia Loren e Lina Wertmüller.
Una vita creativa e un po’ bohemien, che a 40 anni, nel 1971 cambia.
«Paese sera», un quotidiano che rappresentava l’anima creativa della sinistra del PCI, fece un concorso per assumere un grafico. Forattini lo vinse e andò a lavorare con Franco Bevilacqua. Per hobby faceva delle vignette. Il protagonista era uno stralunato personaggio che sognava una vita da musicista e viveva, invece, facendo il piazzista. Si chiama Stradivarius. È facile dedurre che in quelle vignette c’era tanto di vita vissuta.

La vita è strana.
Basta lo scatto di uno scambio perché un treno, così come una esistenza, prenda una destinazione inaspettata.
L’uomo dello scambio per Forattini si chiama Gian Luigi Melega, allora giornalista a «Panorama». Successivamente firmerà le inchieste che porteranno alle dimissioni di Leone e sarà eletto in Parlamento nelle liste radicali. Melega gli dice: «Perché non fai vignette politiche?» «Non le ho mai fatte», rispose Forattini. E Melega di rimando: «Leggi i giornali francesi. Ruba con gli occhi». Forattini sfogliò «Le Monde», «L’Express», analizzò le vignette di Wolinsk. Tratto deciso, poche parole, un solo messaggio, ma capace di incidere, di fare male.
Il debutto in prima pagina di «Paese sera» il 14 maggio 1974. È un giorno importante. Quello dei risultati del referendum sul divorzio. Una svolta nella vita sociale e politica dell’Italia. Per la prima volta la DC, il partito su cui si reggeva il sistema politico, viene sconfitta e con essa il suo segretario, Amintore Fanfani che si era fortemente impegnato nella campagna per l’abrogazione della legge sul divorzio.
Questa la vignetta

«Nacque dalla mia voglia di divorziare, mi ero sposato troppo giovane e il mio matrimonio era finito da tempo. Era una gioia spontanea, personale. Amintore Fanfani però si arrabbiò moltissimo», mi ha raccontato.
Fu il successo, clamoroso e inaspettato.
Sulla scia di quel trionfo, Melaga presentò Forattini a Scalfari, che stava creando un nuovo giornale che si sarebbe chiamato «Repubblica». I due si piacquero. Forattini entrò nel gruppo che stava creando il nuovo quotidiano. Lo fece come grafico. Contribuirà a realizzare la rivoluzione di formato, di struttura, di titolazione che «Repubblica» introdusse nel giornalismo italiano. Siamo nel 1976. Poi arriveranno le vignette. Pubblicate dapprima nelle pagine interne, quella dei commenti, infine in prima pagina.

È in quegli anni che Giorgio Forattini diventa FORATTINI. Rivoluzionando con intelligenza e perfidia il dibattito politico italiano.
Si era in piena Prima Repubblica.
La politica viveva in una bolla rarefatta. Nessuno scriveva della vita privata dei potenti, talvolta si sussurrava, sui giornali finivano al più delle allusioni. Gli scontri erano anche più irruenti di oggi, ma tutto era avvolto da un rispetto delle forme. Fanfani a Tribuna politica (ancora in bianco e nero) dava dell’«Ella» ai suoi interlocutori. Andreotti era l’unico a frequentare la televisione: tifava Roma e talvolta chiosava con arguta ironia. I ritmi erano molto più lenti. Ai congressi dei partiti era normale che una relazione durasse 4 ore. Moro era riuscito a parlare per 9 ore, sia pure divise da una pausa pranzo. Nessuno avrebbe concepito di sintetizzare una svolta politica in 120 caratteri. Perciò, rappresentare la situazione politica con un disegno che evidenziava i difetti e che faceva intuire ciò che nessuno avrebbe mai scritto, fu una rivoluzione.
Una mascalzonata al giorno. Alla fine, quelle vignette cambiarono la percezione della politica.
Se la cronaca dei giornali serve a ripercorrere lo snodarsi degli avvenimenti, la satira fotografa, sintetizza, evidenzia il risvolto psicologico, lo stato d’animo, le impressioni, le attese, le illusioni e le delusioni di un Paese. Unite sono gli strumenti che il giornalismo offre allo storico per raccontare lo spirito del tempo. Forattini non ha certo inventato la satira, ma ha il merito di averla portata sulla prima pagina dei quotidiani italiani, trasformando una vignetta in un editoriale. In anni lontani Oreste del Buono, l’intellettuale che diede un valore culturale a fumetti e disegnatori, riconobbe a Forattini un rango diverso rispetto ai “raffinati e maliziosi vignettisti” come Tullio Pericoli, Altan e Staino.
Le vignette come i fuochi d’artificio non si raccontano (e perciò di seguito, con l’autorizzazione dell’Autore, ho ottenuto di poterne riprodurre alcune capaci di sintetizzare Forattini e con esse la storia dell’Italia recente), tuttavia una almeno merita di essere “raccontata”.
È la vignetta del 4 dicembre 1977.
Il PCI tratta per entrare nella maggioranza di governo con la DC. Nella strade di Roma sfilano i metalmeccanici, all’epoca forza rilevante e potente. Fondamentale per il partito che rappresentava i lavoratori.
Forattini rappresentò il segretario del PCI, Enrico Berlinguer, in vestaglia da camera e pantofole (simboli della borghesia), mentre sorseggiando un the, ascolta infastidito i rumori che provengono dalla strada. Legge «l’Unità» che titola: Una forza operaia immensa.

Meglio di un saggio, più efficace di qualsiasi analisi. Di una perfidia sottile e ficcante. Stilisticamente ineccepibile.
Cosa successe? Mentre l’Italia rideva (e rifletteva), Paolo Spriano, storico autorevole e autore della monumentale Storia del partito comunista italiano per Einaudi, scrisse a «Repubblica» indignato per come era stato rappresentato il segretario del PCI. Non ci fu polemica. Il silenzio seppellì anche formalmente il culto della personalità. Ma crebbero i nemici di Forattini. Era geniale e intelligente se si dedicava ad altri, ma si trasformava in “farabutto e pericoloso serpente” se decideva di metterti alla berlina. Celebri in questo senso le repentine giravolte di Pertini. Uniche eccezioni. Andreotti e Spadolini. Troppo intelligenti per non capire che la caricatura, anche perfida, era testimonianza di fama e (soprattutto) di potere. Da loro mai un lamento, una critica, figurarsi la minaccia di una querela.
Ma se la satira è fatta bene punge, ferisce, fa male. E il potere reagisce.
Facciamo un passo indietro.
Gennaio 1878. Vittorio Emanuele II, il re Galantuomo, è morto da pochi giorni. Il ministro della Real Casa fa un inventario dei beni personali del sovrano.
Nella stanza da letto viene trovato un pacco contenente dei pezzi di una canna da passeggio e un biglietto. Nel cartoncino, vergato con la grafia del sovrano, si legge «bastone rotto sulla schiena di don Margotti per ringraziarlo di quanto ha scritto su Rosina».
La Rosina in questione è Rosa Vercellana, la «bella Rosina», amante ufficiale del re, sposata con rito morganatico sul letto di morte. Giacomo Margotti era un abate che aveva diretto l’«Armonia», il quotidiano dei cattolici intransigenti, che si era distinto (con grande successo di pubblico, arrivò a vendere 3000 copie) per la pubblicazione di opuscoli di violenta satira anti risorgimentale.
Come avevano riportato le cronache dell’epoca, qualche anno prima, L’abate era stato trovato sulla porta di casa sanguinante e non era stato possibile rintracciare il colpevole dell’aggressione. In quel caso il potente di turno si era fatto giustizia da solo.
Altri tempi, oggi il bastone è stato sostituito dalle querele , ma possono fare altrettanto male, soprattutto se accompagnate dalla richiesta di un risarcimento. Forattini ne ha avute molte. Tante vinte, qualcuna persa.
Una emblematica.
Nel 1999 Forattini, dopo la parentesi alla «Stampa», tornò a «Repubblica». Non sono più gli anni che ha raccontato Recanatesi in La mattina andavamo in piazza Indipendenza. «Repubblica» da vascello pirata degli esordi era diventata una corazzata. Un “partito” in grado di influenzare alleanze, suggerire politiche economiche, condizionare governi. La satira si era espansa. Sotto l’ala di Forattini era nato «Satyricon», dove avevano avuto la grande opportunità Giannelli, Vauro e Ellekappa.
A dirigere il quotidiano non c’è più Eugenio Scalfari. Con il Fondatore – ha raccontato Forattini – il rapporto era stato franco, talvolta conflittuale, ma amicale, di reciproca e profonda stima. Le vignette generavano perplessità, discussioni e anche furibonde liti. Ma alla fine, sia pure nel gioco delle parti con i personaggi presi di mira, il direttore copriva sempre «quel furfante» di Forattini.
Ma torniamo al 1999.
Il sistema sovietico è appena collassato. Si diffondono voci, storie e nomi di persone che avrebbero collaborato con l’Unione sovietica. Tra questo materiale c’è un corposo dossier di un archivista del KGB, Vasilij Mitrochin. Contiene nomi di cittadini italiani che hanno dato informazioni e fatto spionaggio per l’Unione sovietica.
Al governo c’è Massimo D’Alema. È il primo ex comunista a guidare un esecutivo in Italia. Le forze di opposizione chiedono che la lista sia diffusa. Il governo prende tempo.
L’11 ottobre «Repubblica» pubblica questa vignetta

Una vignetta cattiva, ma non troppo. Forattini ne ha disegnate di più perfide. Eppure il Presidente del Consiglio si risentì. Assieme alla querela arrivò la richiesta di danni: 3 miliardi di lire (oltre 1 milione e mezzo di euro). Ma solo al vignettista, non al direttore.
Forattini fu lasciato solo a fronteggiare un interlocutore indubbiamente più forte di lui.
La querela verrà rimessa, dopo che Forattini avrà lasciato il quotidiano romano per tornare alla «Stampa».
L’abbandono di «Repubblica» non ha significato la fine della carriera, anzi. Ma la vena satirica da allora si incupì: ne è la testimonianza più evidente la vignetta che ha regalato nel 2016 alla «Nuova Antologia» nel fascicolo per i 150 anni.
Segno dei tempi, della decadenza dell’Italia, dell’anagrafe o dell’effetto di tristi vicende familiari. Ma finché ha potuto ha sempre conservato lo spirito ironico e beffardo che da sempre lo accompagnava e che lo spingeva a organizzare zingarate anche alla non più tenera età. A stento lo tratteneva la seconda moglie Ilaria, una fiorentina-milanese che tentava, assieme all’assistente Michela, di dare razionalità a un signore con la chioma d’argento, aveva ancora voglia di giocare. Si divideva tra Roma, Milano e Parigi, in case riempite di quadri con ritratti di tutte le epoche raccolti tra rigattieri e antiquari perché affascinato dalle storie che raccontano attraverso gli sguardi.
Ascoltando l’amato Wagner si divertiva a disegnare. A ben guardarlo, negli ultimi incontri sembrava essere Stradivarius, il suo avater degli esordi. E si comprendeva l’origine della vena poetica che lo ha reso grande negli addii ai padri della Repubblica: il basco di Nenni che vola via sul tramonto del sol dell’avvenire, il guscio vuoto della testuggine dopo la scomparsa di La Malfa, il cumulo di sabbia e il pianto dopo la morte di Spadolini.
A dimostrare che la satira non è figlia della rabbia, ma della sensibilità.
Ecco, dunque, le vignette di Forattini. Una selezione per ripercorrere la storia d’Italia.











































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