Nel 2011, in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia ho avuto l’occasione e la fortuna di realizzare per GR Parlamento della RAI una riduzione radiofonica degli Uomini che fecero l’Italia, probabilmente l’opera più diffusa di Spadolini. Di seguito sono riportate la mia introduzione al cofanetto contenente le 67 tracce audio e lo scritto di Giuliano Amato, all’epoca presidente del Comitato per i garanti per le celebrazioni dell’unità d’Italia.
Al termine degli scritti c’è il link al sito di RAI CULTURA che ha riproposto la riduzione in occasione dei 100 dalla nascita di Spadolini.
IL MIO SPADOLINI
Avrò avuto 9 anni. Nello studio di mio nonno a Pescara c’erano due volumetti con la copertina bianco-celeste, piena di figure colorate. Il testo era composto con caratteri grandi e un’ ampia interlinea, tale da rendere facile la lettura. I capitoli si succedevano rapidi. La curiosità si trasformò in interesse. Cominciai a leggere. I protagonisti dei volumi erano i personaggi dell’Italia unita.
Ovviamente – nonostante le spiegazioni di nonno Enrico – non capii tutto, ma mi rimasero impressi Garibaldi, Cavour e Giolitti.
Fu quello il primo incontro con Gli Uomini che fecero l’Italia di Giovanni Spadolini.
La vita mi avrebbe fatto incrociare Spadolini e il suo mondo più volte: la laurea al Cesare Alfieri, la sua facoltà, la frequenza al Seminario di studi parlamentari, quella sorta di ENA italiana che aveva fondato con Paolo Barile e Silvano Tosi, poi l’inserimento nei Quaderni di storia del mio primo libro importante e infine le responsabilità alla Le Monnier , che mi fecero diventare il suo editore. Eppure, se penso a Spadolini, d’impeto vado alla mia infanzia e ai quei due volumetti. Capaci di evocare, anche nella mente di un bimbo, personaggi e avvenimenti della nascita dell’Italia e della costruzione della nostra identità.
Così, quando Riccardo Berti, da poco diventato direttore di Gr parlamento, mi chiese di inventarmi qualcosa per celebrare i 150 anni, non ebbi dubbi: Gli uomini che avevano fatto l’Italia poteva essere l’idea giusta.
Pesavo di farne fare dei piccoli sceneggiati, ma Berti, mi bloccò subito. Non ho un euro – disse – Spadolini regge anche la radio, Te lo dico da ex direttore de La Nazione. Gli scritti del Professore sono nati per essere declamati. Sarà necessario qualche taglio, ma vedrai quella prosa è capace ancor oggi, di prendere e guidare l’ascoltatore. Con quel sorriso di testa che solo i toscani sono capaci di fare, mi congedò, dicendomi: L’adattamento lo farai tu.
Non risposi. Incero se ringraziarlo per una opportunità ricevuta, o risentirmi per la scaltrezza di Riccardo che, prima di essere un amico e il mio direttore, era pur sempre un pratese.
Mi trovai così in una avventura inedita.
Superati con facilità i problemi burocratici legati ai diritti, grazie all’antica amicizia con Cosimo Ceccuti e alla cortesia della Longanesi, mi misi al lavoro.
Approfittai delle ferie estive.
Giochi della sorte, ero in quella stessa casa in cui quasi 40 anni prima mi ero imbattuto per la prima volta in Spadolini.
Un enorme pacco di fotocopie in formato A3, due pennarelli colorati, un evidenziatore e la mia stilo. Sotto lo sguardo perplesso e indagatore di Ariel, una bimba di 3 anni, che si chiedeva perché il babbo facesse i disegni senza coinvolgerla, provai a vedere se Berti aveva ragione.
Non aveva sbagliato. E purtroppo non potevo più dirglielo .
Il testo di Spadolini andava bene anche alla radio. Il periodare non corrispondeva ai canoni indicati da Gadda nel celebre Manuale, ma funzionava. Il linguaggio era colto, ma chiaro, avvolgente, coinvolgente. Ciascun cammeo risultava autosufficiente. Capace di sintetizzare lo spirito del tempo e la storia umana del personaggio.
Nel primo fine settimana di luglio preparai i primi 3 personaggi. Qualche taglio. Una serie di capoversi per marcare le pause. Pochi raccordi per snellire il discorso. Divisi i testi per la lettura a due voci e tornai a Roma per sottopormi alla prova annunciatori.
Avevo di fronte Alberto Biciocchi e Valentina Montanari. Per me, che venivo dalla televisione e da altre esperienze, erano le Voci della radio. Non li avevo mai visti, ma ne conoscevo l’abilità a dare tono, colore, spessore a un testo e di come sapessero valutare gli scritti. Passai loro le fotocopie e attesi con sostenuta non curanza il loro giudizio.
Alberto borbottò a mezza voce alcuni periodi, la Montanari lesse e annotò. Poi chiese se erano possibili alcune modifiche. Quindi parlarono tra loro. E’ un lavoro impegnativo, ci vorrà del tempo – dissero e aggiunsero – ci serve la disponibilità di uno studio per registrare i primi, poi faremo da soli. All’unisono conclusero: Abbiamo deciso di farlo nelle pause di lavoro.
L’adattamento funzionava. E non solo perché i rilievi erano stati marginali, quanto per la volontà delle due Voci di lavorare nelle pause.
Era un attestato di stima e la certezza che il mio progetto era stato adottato da una delle botteghe artigiane della Rai.
Mi spiego, in Rai convivono due realtà: una grande industria e una miriade di botteghe artigiane. Le due realtà si sovrappongono. La prima è una megastruttura inelastica, difficile da penetrare, capace di ammortizzare e adattare qualsiasi spinta al cambiamento. Ha logiche organizzative e relazioni umane che ricordano i film di Fantozzi.
Le altre si muovono in modo dinamico, adattandosi alla rigidità della megastruttura in modo fantasioso e creativo. Sono loro che continuano a fare grande la Rai.
Le botteghe sono fatte da tecnici, assistenti ai programmi, autori, giornalisti, registi…. Professionisti selezionati dalla passione per il proprio lavoro che, come degli artigiani rinascimentali, trovano soluzioni e percorrono strade nuove per fare prodotti che “funzionano”. Talvolta inventano strumenti e procedure più efficienti ed efficaci di quelli in dotazione. Il queste botteghe non esistono orari, né circolari da seguire. Spesso ci si porta il lavoro a casa e la gerarchia la fa la competenza e dall’esperienza. Come nelle antiche corporazioni entrare in queste “botteghe” equivale a una iniziazione che spesso segnerà tutta la vita professionale e non solo.
L’edizione radiofonica degli Uomini che fecero l’Italia era in mani sicure. A Biciocchi e alla Montanari si aggiunse Stefano Angelone, un assistente ai programmi, con un passato da attore professionista e una sensibilità non comune, a cui chiesi di curare la scelta delle musiche e il montaggio.
Spadolini sarebbe stato orgoglioso di questa compagnia. Meglio di un saggio era la dimostrazione dell’esistenza di quella “certa idea dell’Italia” per cui il Professore aveva lavorato dalle diverse cattedre su cui era salito: l’università, il giornalismo e l’impegno politico.
Tra luglio e agosto conclusi il mio lavoro sui testi. Dei 112 profili originali ne scelsi 67. Ovviamente quelli che hanno dominato la storia italiana da Cavour a Vittorio Emanuele II a Garibaldi. Ma anche quei personaggi del Risorgimento ingiustamente dimenticati: da Melzi d’Eril a Santorre di Santarosa a Silvio Spaventa. E poi i letterati da Pellico a De Amicis a Collodi a Salgari attraverso i quali Spadolini riesce a spiegare le trasformazioni storico-sociali dell’Italia. Ci sono anche i pensatori: Mazzini, Cattaneo, Fortunato fino ad arrivare a Gobetti, Croce e Gramsci.
Più rapidamente di quanto pensassi e in coincidenza con l’avvio delle celebrazioni per i 150 anni Gli uomini che fecero l’Italia sono andati in onda. Con mia sorpresa e benché l’orario di trasmissione fosse – come era logico – di nicchia in molti mi hanno segnalato il piacere di ascoltarli. Potenza della radio, media antico e di una penetrazione impressionante. Ma la soddisfazione maggiore è arrivata quando un tecnico mi ha fermato nel corridoio per dirmi che, dopo aver ascoltato il ritratto di Quintino Sella, si era convinto che l’Italia anche questa volta – in mezzo a una bufera finanziaria senza precedenti – ce l’avrebbe fatta.
Tornado nella mia stanza. Ho buttato un occhio alla foto di Spadolini presidente del Consiglio che troneggia sulla libreria, mi è sembrato che fosse più luminosa del solito.
Forse era solo un sensazione. Forse.

Prefazione di Giuliano AMATO.
Ho pensato più volte a Giovanni Spadolini nel corso delle celebrazioni del 150° dell’Unità. E come avrei potuto non farlo, avendo davanti a me, nel mio studio, quasi tutti i suoi libri e avendo nella mente e nel cuore il ricordo dei nostri incontri, sempre più frequenti quanto più si diradava, negli anni ’90, la presenza di esponenti laici nella politica e nelle istituzioni italiane?
Ci incontravamo per mettere insieme le nostri convinzioni, e le nostre certezze, sul ruolo che la cultura laica aveva svolto nei decenni che avevamo alle spalle, prima trovandosi protagonista del processo di unificazione nazionale, poi, dopo gli anni del fascismo e della guerra, trovandosi invece al fianco dei nuovi protagonisti della politica nazionale con la responsabilità, non meno facile, di penetrarli dei valori , irrinunciabili per lo Stato democratico, dei quali essa era ed è portatrice.
C’era fra di noi quel solido rapporto che possono costruire insieme la stima reciproca, l’amicizia, la colleganza universitaria. Ma a lui non dispiaceva prendere atto del primato che giustamente gli riconoscevo e che lui stesso trovava il modo di ribadire quasi ad ogni incontro, presentandomi con gioia, quasi ogni volta, l’ultimo nato della sua prodigiosa produzione libraria. Ed è proprio pensando ai nostri incontri, oltre che all’arco tematico di quella sua produzione, che sento tutta la sua mancanza in celebrazioni, che pure sono andate assai meglio di quanto avevamo sperato.
Le celebrazioni hanno ridato vita a monumenti patri dimenticati o addirittura in rovina, hanno riportato davanti agli occhi e alle coscienze di milioni di italiani i luoghi e le persone della loro memoria, hanno sollecitato analisi e dibattiti fra gli studiosi, hanno offerto radici a ragazzi che, nella rete, navigano in un mondo senza radici. Ebbene tutto questo è ciò che Giovanni Spadolini ha sempre pensato si dovesse fare per avvicinare gli italiani al Risorgimento, per far cogliere loro non soltanto il valore storico della vicenda, ma anche il legato che essa ha lasciato e di cui loro sono ora responsabili, per dare infine ai giovani il senso dell’Italia di cui sono comunque partecipi.
Immagino che già lo avesse in mente in occasione delle precedenti celebrazioni, quelle per il centenario nel 1961, ma allora era ancora lontano dalla vita pubblica, era uno storico che faceva il direttore di giornale. L’anniversario non passò senza il suo contributo e al di là di ciò che scrisse per l’occasione il direttore di giornale, lo storico vi portò il suo “Giolitti e i cattolici, 1901-1914”, pubblicato proprio nel 1960 da Le Monnier.
Certo si è che la necessità di tener viva negli italiani, e nella cerchia più larga possibile di essi, la passione risorgimentale diviene negli anni successivi una costante per Giovanni Spadolini. E trova su tutte un’opera nella quale si esprime, “Gli uomini che fecero l’Italia”, che qui ritorna in edizione radiofonica.
E’ un’opera, infatti, che dal momento del suo concepimento accompagnerà Giovanni Spadolini per tutto il resto della sua vita. Pubblicata per la prima volta nel 1972, sarà oggetto negli anni seguenti di numerose riedizioni successive, con un numero crescente di “medaglioni”, che copriranno figure e personaggi dei settori più diversi della vita italiana, in un arco temporale che va da Vittorio Alfieri a Luigi Einaudi. Come non cogliere nella singolare vicenda di quest’opera l’intento che animava il suo autore e che traspariva anche dalla lingua da lui usata, particolarmente piana e accattivante? Raggiungere gli italiani, attrarre con quella lingua anche i giovani e farlo e rifarlo nel tempo affinché, grazie a queste ondate successive, il numero più vasto di loro arrivasse a conoscere chi aveva fatto l’Italia.
Insomma, privato di una grande opportunità celebrativa come quella che noi abbiamo avuto nei mesi scorsi, Giovanni Spadolini le celebrazioni dell’unità se le è fatte da solo, ripetutamente negli anni e in primo luogo con l’opera qui nuovamente riproposta. Per questo ci è mancato in questo 150°, nel quale di sicuro avrebbe saputo fare, e dare, ben più di quanto abbiamo saputo dare e fare noi che abbiamo avuto la ventura di viverlo. Almeno, però, riusciamo a chiuderle, le nostre celebrazioni, ricongiungendole a lui e al suo lavoro. A suggello finale del 150° nulla potrebbe essere più adeguato de “Gli uomini che fecero l’Italia” di Giovanni Spadolini. Un sincero grazie a chi si è adoprato perché così potesse accadere.
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